Circa i pericoli della lettura
Quando ero professore all'UNICAMP fui designato come presidente della commissione incaricata della selezioni dei candidati al dottorato, tutto questo è una sofferenza. Dire "questo entra", "questo non entra" è una responsabilità dolorosa dalla quale non si esce senza sentimenti di colpa. Come - in venti minuti di conversazione - decidere sulla vita di una persona impaurita? Ma non c'erano alternative, questa era la regola.
I candidati si rannicchiavano nel corridoio ricordando ciò che avevano letto dalla immensa lista di libri la cui lettura era richiesta. Ebbi un'idea che giudicai brillante.
Mi misi d'accordo con i miei colleghi a fare a tutti i candidati un' unica domanda, la stessa domanda. Così, quando il candidato entrava tremando e sforzandosi di sembrare affidabile, io gli facevo la domanda, la più deliziosa di tutte: "Parlaci di ciò che ti piacerebbe parlare!" Perchè è chiaro! Non ci interessava quello che aveva memorizzato del libro. Molti idioti hanno buona memoria. Ci interessava quello che pensava.
Poteva parlare di ciò che voleva, visto che era ciò di cui amava parlare. Cercavamo le idee che correvano nel suo sangue! Ma la reazione dei candidati fu inaspettata! Fu l'opposto. Panico. Fu come questo campo, (quello del quale amavano parlare), gli fosse totalmente sconosciuto, un vuoto immenso. Ripetere come un pappagallo i pensieri degli altri, tutto bene. A questo erano stati educati durante la loro carriera scolastica, a partire dall'infanzia. Ma parlare circa i loro pareri - ah!questo non gli fu insegnato.
In verità mai gli passò per la testa che qualcuno poteva interessarsi di ciò che stavano pensando. Mai gli passò per la testa che i loro pensieri potessero essere importanti. Una candidata ebbe uno scoppio e cominciò a parlare come un pappagallo della teoria di un autore marxista. Credo che pensò che quella domanda non aveva rilevanza.
Non era possibile che stessimo parlando seriamente. Doveva essere una di queste "richiestine" sadiche il cui obbiettivo è confondere il candidato. A scanso di dubbi optò per la rotta tradizionale e decise di dimostrare di aver letto la biografia. Allora la interruppi e dissi: "Io già ho letto questo libro. Io so cosa c'è scritto. E tu lo stai ripetendo bene. Ma noi non vogliamo ascoltare ciò che già sappiamo. Vogliamo ascoltare ciò che non sappiamo. Vogliamo che ci parli di cosa stai pensando, i pensieri che occupano..."Lei non ci riuscì. L'eccesso della lettura le aveva fatto dimenticare e disapprendere l'arte di pensare.
Sembra che questo processo di distruzione del pensiero individuale è una conseguenza naturale delle nostre pratiche educative. Quanto più si è obbligati a leggere, meno si pensa. Schopenhauer prese coscienza di questo e lo disse in modo molto semplice in alcuni testi sui libri e la letteratura. Ciò che si assume come ovvio ed evidente è che il pensiero è direttamente collegato al numero di libri letti.
Leggere dinamicamente, come si sa, è essenziale per prepararsi per gli esami di ingresso all'università e per fare i classici "schemi" richiesti dai professori. Schopenhauer pensa il contrario: "E' per questo che, per quanto riguarda le letture, l'arte di non leggere è sommamente importante." Questo contraddirebbe tutto ciò che si ha di autentico ed è necessario seguire il proprio pensiero. Dice Lui: "Quando leggiamo, l'altra persona pensa per noi: ripetiamo solo il suo processo mentale"
Quanto a questo, non ci sono dubbi: se pensiamo ai nostri pensieri mentre leggiamo, in verità non leggiamo. La nostra attenzione non è sul testo. Lui continua: "Durante la lettura la nostra testa è appena il campo di battaglia dei pensieri altrui. Quando questi, finalmente, si ritirano, cosa resta? Allora accade che quello che legge molto e quasi dice tutto ... perde, lentamente, la capacità di pensare per conto proprio... Questo, dunque, è il caso di molti eruditi: lessero fino a diventare stupidi. Perchè la lettura costante, ripresa in ogni momento, paralizza lo spirito ancora di più di un lavoro manuale perpetuo..."
Nietzche pensava lo stesso e arrivò ad affermare che, nei suoi giorni, gli eruditi solo facevano una cosa: sfogliavano le pagine dei libri. E con questo avevano perso la capacità di pensare per loro stessi. " Se non stanno girando le pagine di un libro loro non riescono a pensare. Sempre che si chiami pensare, loro stanno, in verità, semplicemente rispondendo ad uno stimolo, - il pensiero che lessero...In verità loro non pensano; loro reagiscono. Vidi questo con i miei occhi: persone ben dotate che, a trenta anni, si erano rovinate per il tanto leggere. Di mattino presto, quando il giorno nasce, quando tutto sta nascendo - leggere un libro è semplicemente qualcosa da maniaco..."
E, tuttavia, io sarei felice se le nostre scuole insegnassero una sola cosa: il piacere di leggere!
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